Tocca a Marco Paretne e al suo spettacolo "Il pesce ha parlato" chiudere
la rassegna invernale "Tradizione di Movimento" del Musicus Concentus.
Le poltroncine della sala Vanni - tipica location da Firenze nobile e un po'
ammuffita, elegante e austera al punto da incutere una vaga soggezione - non
bastano ad accogliere i convenuti, e così qualcuno finisce per accomodarsi (si fa per dire) sul pavimento.
Ma i disagi, le aspettative e gli entusiasmi vengono pienamente ripagati
Un concerto emozionante. Checché il termine suoni un po' generico, logoro,
abusato, lasciate che lo ripeta: emozionante. Confesso che l'ultimo
Trasparente mi ha in parte deluso,
prefigurandomi in alcune tracce una sorta di normalizzazione
sonora (e in parte anche strutturale) troppo spinta verso il luogo comune
"radioheadiano", da cui la sensibilità di Marco Parente - spigolosa, tenera,
scomposta - ne esce come sbiadita, stanca, disinnescata. Un autentico smacco,
considerate le due prove precedenti, un colpo basso soprattutto per chi come me
lo collocava (lo colloca) tra le più intense e genuine realtà (cant)autoriali
italiane. Con questo spettacolo però Marco rimette le cose a posto: sul palco
ha voluto con sé i fidati collaboratori Mirio Cosottini (tromba),
Mirko Guerrini (clarino, sax e piano) e Lorenzo Brusci (elettroniche)
mentre Marco Tagliola cura l'editing analogico e Stefano Roslmai
l'amplificazione della spettacolare esafonia. Se li cito tutti è perché ognuno
appare pienamente coinvolto nella realizzazione di queste stranianti riletture,
ora denudate e fragili nella penombra di un piano, ora affogate in trepide,
lattiginose malinconie jazz. Stupisce l'insolita dimensione da piece
minimale, in cui l'esecuzione diviene gesto, il gesto espressione sonora, e
l'atmosfera - densa di movenze e segni e significati - sembra cercare il punto
di fusoine tra poesia e vita. Il canzoniere si concentra vieppiù sull'ultimo
disco, più due titola da Eppur non basta, una
cover di Caetano Veloso (la meravigliosa Michelangelo Antonioni,
"la più bella canzone italiana degli ultimi vent'anni, peccato che non sia stata
scritta da un italiano…") e l'inedito che chiude e dà il titolo all'esibizione.
Completamente ignorato quindi il capolavoro Testa, dì'
cuore, e ciononostante i pezzi proposti non hanno fatto rimpiangere ciò
che è mancato: a partire dallo sconcerto rabbioso di Scolpisciguerra,
passando da una spettacolare
Adam ha salvato Molly
(che sembra spegnersi su un assolo di sax salvo poi ripartire sparando
fotogrammi impazziti della stessa canzone, il piano selvaggiamente pestato,
le raffiche degli ottoni, il notebook - con melina bianca d'ordinanza - a
dettare sclerotici sussulti nell'orgasmo free jazz), per non tacere di una
trepidante W il mondo,
dell'angosciosa Sopra sopra o della convulsa
Fuck (he)art & let's dance,
con Marco impegnato a percuotere un tamburino quando non direttamente il microfono (!),
la voce data in pasto a riverberi elettronici e laceranti delay. Lo zenit emozionale
della serata è stato però raggiunto grazie a una stupenda versione di Derivanti
dall'incedere grave ed etereo, che sui versi "camminiamo, camminiamo" innesca una reiterazione
ipnotica e struggente, tanto che i due fiatasti - tromba da un lato e sax dall'altro -
scendono in sala marciando brechtianamente in mezzo al pubblico fino a scomparire ingoiati dalle quinte.
Si conclude con Marco da solo al piano, alle prese col dolente inedito Il pesce ha parlato,
una specie di breve epitaffio, allibito di fronte allo schiacciante stupore delle
cose, infine arreso ad un silenzio inevitabile al punto che il pubblico stesso è
invitato ad intonare a mo' di commiato il tema di L'aggio scritt'a canzone
di Edoardo De Filippo, dapprima concedendo un incerto brusio, e poi via via
un trepido trascinande salmodiare. Segue un fiume di applausi, tutti meritati.
Live dal Live alla Sala Vanni, 13 Dicembre 2002
di Stefano Solventi (il Mucchio Selvaggio N.516, 14-20 Gennaio 2003)
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