Six Day Sonic Madness
Guardia Sanframondi (BN), 29 Luglio 2004

Six Days Sonic Madness. Quattro giorni intensi come fossero sei.

Quest'anno attraversare l'autostrada del sole diventa un'impresa complicata: con una mano sul volante e un'altra a grattarsi le palle in scaramantica difesa dai nuovi messaggi variabili cadenzati sui tabelloni elettronici.
"1 su 5 morti per colpo di sonno"
"Superare il limite di velocità è un crimine!"
"Un morto su due per eccesso di velocità"
"Se non rispetti il codice della strada metti a rischio la tua vita"
"Guidare con stanchezza può toglierti la vita"
"Non distrarti mai"
"Se guidi dopo aver bevuto, muori"
"...tanto muori lo stesso..."

...verrebbe voglia di andare a piedi, ma sono gia in ritardo e devo passare a prendere un sorriso a Caserta e poi procedere verso il beneventano. La meta è una collina ripida come una montagna, la cui sommità ospita il quieto e sonnacchioso agglomerato medievale di Guardia Sanframondi, piccolo paese che periodicamente diviene luogo di pellegrinaggio di migliaia di persone provenienti da tutto il mondo, non certo attirate dalla musica. Quel gomitolo di vie dimenticate ospita, infatti, il rito settennale della Processione dei Battenti: un lungo serpentone umano di uomini incapucciati che si infliggono pesanti fustigazioni con una spugna coperta di spilli in nome di una qualche Madonna. A parte questo, la gente del posto si preoccupa soprattutto di produrre il tipico vino "La Guardiense" (oltre a dar da mangiare ai koala, ma questa è un'altra storia).
Anche quest'anno la strada sembra allontanarsi progressivamente da me e un venditore di meloni è l'unica salvezza per recuperare l'orientamento e quantomeno perdersi negli stessi posti della volta scorsa. Non sono il primo a riporre fiducia in quell'omino sommerso dal giallo del cantalupo.

"scusi buon uomo... sa mica come si arriva a Guardia Sanframondi?"
"marò eccherè oggi, ma jate tutt'a'Guardia? uagliò, i' vu spieghe ma voie m'avulite spiegà checazz'ce'sta a Guardia Sanframondi?"

Evidentemente altra gente si sta recando all'evento. Probabilmente meno della metà ci riuscirà, nonostante i segnali sparsi tra Amorosi, Dugenta e Telese, paesi apparentemente rubati alla nomenclatura di un gioco di ruolo. Confortante, anche quest'anno, il lungo e stretto ponte cosparso di poster: dodici mesi prima era ricoperto di calde e rassicuranti locandine degli Yuppie Flu ad indicare la vicinanza col traguardo, stavolta il compito è affidato al blu della Stanza 218 e alla testa indipendente con i sogni del gorilla. Ascoltando il richiamo dell'altura, curva dopo curva, finalmente la destinazione è raggiunta. Giusto il tempo di usare il mio fluente puteolano per rapportarmi ad un anziano indigeno che mi illustra la strada per il "Cervillo", un grazioso agriturismo da cui spuntano improvvisamente gufi dal controsoffitto e le pareti svelano pregevoli riproduzioni pittoriche. Solitamente in questi posti ci si aspetta di trovare appese le b-side di Edmondo Scrofalo, invece: Klimt, Schiele, Monet, Picasso, Van Gogh. Vivamente consigliato.
Come ogni anno, il Six Days Sonic Madness occupa una piccola porzione di un grazioso borghetto medievale, ritagliato su piani diversi in un saliscendi di vecchi scalini che conducono in cima alla piccola rocca. Il palco è virtualmente sospeso tra due strapiombi, in uno spiazzo delimitato da piccoli e ruvidi muretti di pietra.
L'ingresso di soli tre euro fa venir voglia di acquistare un intero carnet di biglietti e il brusio in sottofondo provocato dall'idioma campano stimola costantemente il buon umore.
Il ritardo con cui mi presento è evidente. Manco in pieno i Mersenne, di cui ignoro qualsiasi dettaglio. Manco di un soffio anche i Valderrama 5, che pare abbiano riempito di colore la rocca. Peccato averli persi, ero piuttosto curioso di scoprire dal vivo la loro strana mistura di schizofrenico pop elettropartenopeo unito al lounge da spiaggia sudamericana. Arrivo almeno in tempo per l'esibizione dei Juniper Band, sempre attenti a calibrare ogni dettaglio del loro vigoroso rock psichedelico. Tante chitarre, tanti feedback, tanto spessore. Bravi, passionali e appassionati, ma senza scatenare mai sospiri o stupori. Applaudo però con gioia ogni loro nota, se non altro per la presenza di una maglietta Aiuola nel loro abbigliamento. Il pubblico è piuttosto numeroso per un giovedì e alcuni volti assumono sembianze familiari. Incontrare Andrea "PL2" Girolami e Aurelio Pasini sotto la luce fioca delle stelle guardiensi è sempre un momento di grande catarsi romantica. Baci, abbracci e parole sdolcinate da veri rocker. Ogni anno siam sempre un po' più rincoglioniti, le nuove leve si sbrighino a tirarci via da qui e toglierci la facoltà di scrivere di musica.
Intanto, tra un respiro adolescenziale e la voglia di essere trasparente, il palco prende nuovamente ad agitarsi. Sale sulla piattaforma Marco Parente in tuta sgualcita e maglione scolorito. Lui ha sempre avuto il dono di rendere preziosi gli istanti, cantandoti nella pancia fino a riempirti il fiato, ma l'esposizione prolungata alle sue note tende solitamente a rallentare le mie sensazioni fino a sviluppare sassate di noia. Anche stavolta il suo concerto ha il duplice effetto di esaltazione e frustrazione, coinvolgimento e tedio. Fortunatamente molto azzeccata la scelta di scombussolare il set sparpagliandoci alcuni membri dei Mariposa, ottenendo un caldo concerto acustico, che si deforma con impennate vocali e fragorosi schizzi sonori di fiati, percussioni e aggeggi vari.
La prima serata si chiude con la soddisfazione di esserci stato e mi addormento cercando parole silenziose per non rischiare di infrangere l'integrità di pensieri che vogliono restare incolumi dal rumore di altri pensieri.
Svegliarsi la mattina seguente conferma il mio pessimo rapporto con la gravità, ma il paesaggio delle colline guardiensi che trapela da una finestra a forma di teatrino per marionette aiuta decisamente il metabolismo. L'eccessiva tranquillità del luogo rallenta comunque i movimenti e prolunga la voglia di silenzio, così giungo nuovamente in ritardo all'appuntamento serale, perdendo di un soffio l'esibizione degli El Alieno, pur avvertendo da lontano il riverbero della loro furiosa esibizione, con metal e rock a contaminarsi l'un l'altro. Potrebbero esser bravi.
Estremamente graziose le acquose evoluzioni degli Amari, immersi nell'elettronica a 8 bit e devoti ai Casino Royale, pur con qualche correzione. Il loro concerto cambia continuamente tono e andamento, tra hip hop, easy pop, indietronica e gingilli pazzarelli. Non tutto azzeccato, ma quasi. Abbandonassero certe esuberanze per dedicarsi alle melodie, avrebbero il potenziale per uscire dai sotterranei musicali e piazzare un bel colpo. Intanto il loro simbolo taroccato della Atari mi obbliga ad acquistarne la maglietta.
Convincenti anche i Fine Before You Came, che esplodono il loro ardore senza concedere un solo istante a dolcezza e tempi lenti. Emo punk, emo metal, emo hardcore. Sfacciatamente modaioli, ma estremamente convincenti. Non perdono un colpo neanche quando la corrente elettrica abbandonda il palco, restando strenuamente aggrappati agli strumenti, pronti a ripartire con maggiore intensità. Un bel concerto per una serata che cresce attimo dopo attimo, ammucchiando le persone spalla contro spalla, per arrivare stretti stretti alla contemplazione di Gatto Ciliegia contro il grande freddo. Un set morbido e intenso, fatto di suoni che percorrono traiettorie silenziose e riverberi post-rock, illuminato da un piccolo riquadro con eleganti proiezioni. La formazione torinese riesce ad essere cantautorale anche senza cantare, trasformando l'ambiente in un salotto caldo e invitante, capace di regalare momenti in cui tutto quello che accade sembra carico di significati. Ogni dettaglio sembra un messaggio che si nasconde nelle coincidenze, per questo le note di Gatto Ciliegia sanno emozionare, specialmente se avete un bacio che vi trema in gola. Buona anche la maglietta, la compro.
In questo apparente acquarello poetico, impossibile non segnalare la presenza di uno spaesato e sfrontato gruppo di muscolosi discotecari locali in abito aderente, giunti probabilmente per sbaglio (o per sfregio) sul luogo del concerto e intenti a ballare come Justin Timberlake in preda a convulsioni. Da restare allibiti e anche un poco ammirati.
Appena il tempo di sorseggiare una pepsi al gusto di birra (approfitto per far notare agli organizzatore che il miscelatore era difettoso) e il sonno prende il sopravvento poggiandosi sulle belle emozioni appena trascorse.
Il Sabato è estremamente sudato, si rende necessario un sopralluogo nelle pianure beneventane alla ricerca di aria fresca. Il lago di Telese è poco più di una pozza d'acqua piovana, ma è un sollazzo incresparlo a piedi nudi, mentre i vecchi pescano carpe tra i cespugli. Intanto un cigno zoppo si bagna nel riflesso delle nuvole senza spaventarsi degli "iamm'uagliò" urlati dai bimbi che gareggiano a toccare il fondale immergendosi dal pontile. Inspiegabilmente da lontano si ode Domenico Modugno che intona continuamente "Nel blu dipinto di blu". Un peccato interrompere un pomeriggio simile, ma la serata del Six Days Sonic Madness si annuncia interessante, meglio provare ad arrivare in tempo per l'inizio dei concerti (non ci riuscirò).
"Vi state divertendo?". Frase apparentemente appropriata ad un concerto, ma abbastanza surreale se a pronunciarla è Emidio Clementi al culmine di una serata in cui El Muniria rappresenta il punto massimo di un programma la cui densità riverbera anche soltanto leggendo i nomi dei partecipanti: Ninefold e il loro nu-metal-fatto-abbastanza-bene. Xabier Iriondo e Paolo Cantù che parlano il loro slang marziano. Red Worm's Farm che buttano giù tutto. Insomma, potenzialmente una serata capace di trasformarsi in una tremenda mazzata sui coglioni come nemmeno i Massimo Volume cantati da Fiz, invece il territorio ubertoso sembra influenzare anche il palco e i suoi occupanti, sotto il segno di un Clementi che trattiene il fiato per rovesciarlo nei suoi canti letterari, stavolta ambientati in raffinate dilatazioni strumentali che coprono di melodia parole che vorrei saper dire io. "Passo il tempo a toccare i punti in cui mi manchi". Una frase che resta conficcata. Da prendere con delicatezza e riporre in luoghi sicuri per quando servirà, ora è abbastanza inutile, ho tutto vicino e devo solo strizzare ogni tanto gli occhi per crederci. Intanto anche la luna sembra gradire il concerto e squaglia un suo quarto in onore di Emidio e dei suoi musicisti. E mentre gli slide di chitarra si sovrappongono ai contrappunti di tastiera, io acquisto con entusiasmo il mio primo disco Homesleep. Dopo tanti tentativi andati a vuoto, finalmente riesco ad applaudire il contenuto di un disco dell'etichetta bolognese: compratevi una decina di copie di "Stanza 218" a testa e regalatele, farete una bella figura.
Intanto un altro giorno scavalla e per l'ultima puntata del festival mi impegno a presenziare fin dal primo istante. Ci riesco così bene da avere anche tempo per visitare le mostre incastonate tra gli stretti anfratti medievali e restare dubbioso di fronte ad un'estemporanea esibizione di capoeria improvvisata da due strani figuri (conoscete la capoeria? pare vada di moda tra gli indierocker). Intanto il soundcheck lascia presagire una serata pastosa. Aprono la contesa i Gentlemen's Agreement, rock ruvido e ben cantato, eccesivamente tradizionale nelle strutture ma piuttosto fresco nell'attitudine. Chitarre in bella mostra, melodie sanguigne e una generale tendenza a coinvolgere. Forse lievemente noiosi, ma ci sanno fare, potrebbero mettere a punto la questione e costruirsi una buona reputazione.
I Surrounded invece scivolano giù dalla rocca come miele caldo, prendendo a prestito l'instabile purezza degli Sparklehorse e le filastrocche rock dei Grandaddy per coccolarsi in un fragile e irrequieto dream pop orchestrale. Intensi e accattivanti, gli svedesi costruiscono suoni innocenti che guizzano su trame elettroniche. Piccole melodie nordiche, in cui galleggiano anche frammenti dei Mercury Rev. Molto piacevoli. Perfetti per chi colleziona spillette e gioca al protagonismo da blog. Non so quale risultato ottengano su disco, ma se vi capita, provate a dedicar loro un poco di tempo, non si sa mai.
Ormai sdraiato come un sedicenne a ricordare vecchie storie sentimentali mai raccontate prima, è tempo di accogliere l'entrata in scena dei Marta sui tubi. Sul programma ufficiale è apposta l'etichetta "ROCKIT selected", scelta poco coraggiosa da parte nostra, perchè di questi tempi con il duo siculo la bella figura è garantita. Così è, senza timore di smentita. Eseguono il solito repertorio di poesie nervose e strappi acustici, vomitando melodie schizofreniche nelle loro canzoni funamboliche fatte di voce, chitarra e sporadici pasticci elettronici. Forse alla lunga rischiano di rimanere intrappolati in loro stessi, ma per ora son perfetti così come sono.
Nel frattempo la fame punzecchia lo stomaco e sembra giunto il momendo di compensare al piano inferiore, visitando l'affollato chioschetto in cui spendere i "buoni acquisto" gentilmente offerti dagli organizzatori. Quasi dispiace usarli, perchè non capita spesso di poter aprire un panino pagato solo 2 euro e guardare con ammirazione ben due salsicce ricoperte di melanzane sott'olio. Sono questi i momenti in cui avere una figura femminile accanto ti rende gratificato dalla consapevolezza che lei non lo finirà mai e presto ti dirà "...vuoi? a me non va più...".
Se poi pensate che con un euro prendete un bicchiere di vino stracolmo, potete calcolare che con dieci euro, equivalente di un fiacco cocktail in discoteca, riuscite a ubriacarvi o quantomeno andare in giro a recitare fesserie e sorridere alle ragazze in cerca di baci, si sa mai che ne troviate una sufficientemente sbronza da darvene. "Ha 'dda passà 'a nuttata", dicono da queste parti.
Una serata appiccicosa che si strotola come uno strudel, concerto dopo concerto fino ad arrivare all'esibizione di una band che da anni progetta se stessa all'interno di luoghi immaginari, muovendosi con sfacciata sincerità senza seguire mode. Loro non sempre mi entusiasmano ma è un bene saperli sempre in giro, perchè alla lunga ci si stanca di tutta questa gente che vuole stupire con la presunzione di farlo ancor prima di riuscirci. I Tre Allegri Ragazzi Morti ci riescono senza neanche provarci. Raccontano le storie simboliche che da giovani ci siamo sempre chiesti come sarebbero andate a finire e che da adulti ci siamo scordati di terminare. Suonano il rock'n'roll come fosse punk, e canticchiano il pop mettendoci le parole giuste per lasciare messaggi generazionali. Distratto e imbambolato non afferro tutti i dettagli, ma il concerto non brilla per originalità, fortunatamente la loro formula collaudata non ne ha bisogno e i ragazzi morti si esibiscono come sempre, cercando il contatto con la gente. Grattano le chitarre e si azzuffano sulle ritmiche, percorrendo melodie leggere. Rispettano anche il copione decennale, chiedendo al pubblico di non scattare foto perchè le immagini più forti sono quelle negate. "Toffolo è troppo intelligente", direbbe uno che conosco.
Il Six Days Sonic Madness si chiude come era cominciato, con la musica a ricoprire la rocca di Guardia Sanframondi, fino a spegnere le luci di un festival che meriterebbe di essere sommerso dall'abbraccio di migliaia di persone. Forse non tutti i concerti riescono alla perfezione e gli ingiusti limiti di budget obbligano a stiracchiare una coperta talmente corta da rischiare di stracciarsi da un momento all'altro, ma le quattro giornate di questa manifestazione restano un piccolo tesoro da difendere e valorizzare, invocando l'aiuto di nuovi sponsor e di una classe politica che deve intervenire con denaro contante, tenendosi in bocca le troppe inutili parole.
Resta la stima per una macchina organizzativa fatta da ragazzi che hanno saputo trasformare i battiti del cuore in una professione, dimostrando capacità imprenditoriali senza diventare commercianti. I grandi specialisti del settore dovrebbero rimettere i panni sporchi e fare i chierichetti in questo piccolo piccolo festival, tornando a casa con una valanga di appunti.
L'invito per voi che leggete è lo stesso dell'anno scorso: muovete il culo e andate a vedere manifestazioni come questa. Se lo meritano. Ve lo meritate.

di Stefano 'Acty' Rocco (per Rockit)
Live dal Live a Benevento, 29 Luglio 2004

ho una gran fretta di cambiare pelle a questa terra