Firenze Mattina
26 Febbraio 1997

MARCO PARENTE: la voce si fa carne

La collana "Taccuini" del Consorzio Produttori Indipendenti potrebbe rivelarsi un limite per un musicista come Marco Parente e per il suo Eppur non basta in uscita a metà marzo. Per parlare di Parente è necessario liberare il campo da equivoci: è sì un cantautore nel senso più positivo e moderno dl termine, ma i cinque musicisti che suonano con lui, e che lui stesso definisce compagni di viaggio, sono parte così peculiare, compositivamente e musicalmente, del lavoro di Marco da rendere impossibile immaginare un disco come questo realizzato con musicisti diversi.

Chi ha avuto la fortuna di vedere dal vivo Jeppe Catalano alla batteria, Johnny Dall'Orto al basso, Luca Marianini alla tromba, Erika Giansanti e Paolo Clementi alle viole, oltre che lo stesso Marco alla chitarra, ha già compreso che tutti suonano con una passione e con un amore per la musica dell'artista fiorentino che vanno ben oltre la "corretta professionalità" del turnista.

Le viole di Paolo ed Erika, ad esempio, intervengono in maniera originale, non sono solo un semplice accompagnamento, ma intrecciano riff e melodie che rimangono subito stampati nella mente.

Il disco inizia da un'atmosfera onirica: via via che si va avanti nell'ascolto ci si trova di fronte a un sogno che si fa carne, ossa e cuore.

La voce di Parente è in continua oscillazione tra ombra e luce: un attimo è nascosto nel buio, subito dopo ci grida in faccia rabbioso illuminato da luci al neon.

Canzoni come la splendida Oio, dove duetta con Carmen Consoli, Buone prestazioni e Musica per ci presentano un artista spontaneo che non descrive mai in maniera diretta le sensazioni, eppure è dotato di una comunicatività fuori dal comune.

Non ammicca mai al pubblico e proprio il suo stile assolutamente personale e nuovo lo fa salire una spanna sopra non solo agli altri Taccuini (sottotitolati con una punta di civetteria "collana di musica aliena") ma alla maggior parte delle produzioni italiane di oggi.

Michele Bocci

Ma noi non abbiamo occhi Che per noi... Al massimo per chi ci siede accanto