La collana "Taccuini" del Consorzio Produttori Indipendenti potrebbe
rivelarsi un limite per un musicista come Marco Parente e per il suo Eppur
non basta in uscita a metà marzo. Per parlare di Parente è
necessario liberare il campo da equivoci: è sì un cantautore nel senso
più positivo e moderno dl termine, ma i cinque musicisti che suonano
con lui, e che lui stesso definisce compagni di viaggio, sono parte così
peculiare, compositivamente e musicalmente, del lavoro di Marco da rendere
impossibile immaginare un disco come questo realizzato con musicisti diversi.
Chi ha avuto la fortuna di vedere dal vivo Jeppe Catalano alla batteria, Johnny
Dall'Orto al basso, Luca Marianini alla tromba, Erika Giansanti e Paolo Clementi
alle viole, oltre che lo stesso Marco alla chitarra, ha già compreso che
tutti suonano con una passione e con un amore per la musica dell'artista
fiorentino che vanno ben oltre la "corretta professionalità"
del turnista.
Le viole di Paolo ed Erika, ad esempio, intervengono in maniera originale,
non sono solo un semplice accompagnamento, ma intrecciano riff e melodie che
rimangono subito stampati nella mente.
Il disco inizia da un'atmosfera onirica: via via che si va avanti nell'ascolto
ci si trova di fronte a un sogno che si fa carne, ossa e cuore.
La voce di Parente è in continua oscillazione tra ombra e luce: un
attimo è nascosto nel buio, subito dopo ci grida in faccia rabbioso
illuminato da luci al neon.
Canzoni come la splendida Oio, dove duetta
con Carmen Consoli, Buone prestazioni
e Musica per ci presentano un artista spontaneo
che non descrive mai in maniera diretta le sensazioni, eppure è dotato
di una comunicatività fuori dal comune.
Non ammicca mai al pubblico e proprio il suo stile assolutamente personale e nuovo lo fa salire una spanna sopra non solo agli altri Taccuini (sottotitolati con una punta di civetteria "collana di musica aliena") ma alla maggior parte delle produzioni italiane di oggi.
Michele Bocci
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